Aree d'intervento
In maniera schematica, queste sono le principali aree d’intervento in cui si esplica la mia attività:
- Disturbi d’ansia (ansia generalizzata, ansia sociale, fobie specifiche, attacchi di panico, agorafobia);
- Disturbi dell’umore (depressione, disturbo maniaco-depressivo, disturbo bipolare);
- Disturbi del pensiero (Disturbi di forma del pensiero: alterazioni del flusso ideico. Disturbi di contenuto del pensiero: deliri. Disturbi della sensopercezione: allucinazioni uditive o visive);
- Disturbi del comportamento alimentare (anoressia, bulimia, grave obesità);
- Crescita personale (autostima, autoefficacia, motivazione);
- Problematiche relazionali (di coppia e genitorialità);
- Problematiche inerenti il disagio giovanile (comportamenti autolesionistici adolescenziali, ritiro sociale, bullismo, dismorfofobia);
- Problematiche inerenti le dipendenze (affettive, da sostanze stupefacenti, da gioco d’azzardo, dal web);
- Disturbi del sonno (insonnia, bruxismo, sindrome delle gambe senza riposo, sonnambulismo, narcolessia);
- Disturbi sessuali (eiaculazione ritardata o precoce, disturbo erettile, inibizione dell’orgasmo femminile, perdita del desiderio sessuale);
- Disturbi di personalità:
I disturbi di personalità del Cluster A condividono un significativo disagio nelle situazioni sociali, ritiro e pensiero distorto:
1) Disturbo Paranoide di Personalità
2) Disturbo Schizoide di Personalità
3) Disturbo Schizotipico di Personalità
I disturbi di personalità del Cluster B implicano condotte di comportamento drammatiche, emotive o disregolate:
4) Disturbo Borderline di Personalità
5) Disturbo Narcisistico di Personalità
6) Disturbo Istrionico di Personalità
7) Disturbo Antisociale di Personalità
I disturbi di personalità del Cluster C si caratterizzano soprattutto per alti livelli di ansia, inibizione sociale, sentimenti d’inadeguatezza e un’ipersensibilità alle valutazioni negative:
8) Disturbo Evitante di Personalità
9) Disturbo Dipendente di Personalità
10) Disturbo Ossessivo-compulsivo di Personalità
Cosa faccio
Il sostegno psicologico è una “relazione che cura”; sicuramente attraverso tecniche e strategie apprese dal terapeuta durante il lungo percorso formativo e di analisi cui si è sottoposto, ma soprattutto è una “relazione che cura… grazie alla relazione stessa”. Quindi, è indubbiamente importante l’approccio metodologico dello psicologo, ma è sempre la relazione il perno centrale della terapia. Se non c’è una buona “alleanza” fra professionista e paziente, non è possibile portare avanti un processo di cura per la guarigione. Essa si costruisce nel tempo, grazie alle capacità di accoglienza, empatia, ascolto e sostegno che lo psicologo dev’essere in grado di fornire sin dal primo colloquio. Un percorso di terapia parte solitamente con una fase iniziale nella quale si cerca di creare insieme al terapeuta un quadro globale della situazione attuale, una “fotografia” che permetta di focalizzarsi su cosa ha portato il paziente a chiedere aiuto.
È possibile così andare a delineare gli obiettivi, cosa si cerca e cosa si vorrebbe raggiungere attraverso questo percorso. È importante comunque sottolineare che gli obiettivi non sono decisi una volta per tutte, bensì possono essere rimodulati nel corso dell'analisi, in base ai bisogni e ai desideri che emergono man mano che il benessere psicologico del paziente aumenta.
Il percorso terapeutico vede sempre il paziente come parte attiva, lo aiuterà ad osservare sotto una nuova luce quanto gli sta accadendo e quanto accaduto nel passato, consentendogli di creare nuovi ponti, nuovi fili e connessioni: attraverso una ristrutturazione del suo modo di vedere le cose, di osservare se stessi e gli altri, potrà affrontare diversamente e superare le situazioni di malessere.
Vorrei ora sfatare alcuni miti.
1) “Lo psicologo mi ha consigliato di…”
Lo psicologo non dà consigli. Non è il suo lavoro. Lo psicologo deve portare il paziente a ragionare, a comprendere il perché del suo agire disfunzionale e stimolare l’adulto a venir fuori per prendere il suo posto nel mondo. Sarebbe presuntuoso, inoltre, pensare che soltanto in quanto professionista, possa sapere cosa è meglio o peggio per la vita del suo paziente, in termini di scelte esistenziali. L’obiettivo della terapia non è raccogliere “buoni consigli”, ma riscoprire le proprie priorità, i bisogni inascoltati e dargli voce.
2) “Vado dallo psicologo per sfogarmi o per essere consolato…”
La seduta dallo psicologo non è uno sfogatoio, uno spazio in cui rovesciare problemi in maniera convulsa e improduttiva, né tantomeno un confessionale. La stanza di terapia non è un posto dove essere sempre coccolati, semplicemente perché questo non aiuterebbe minimamente il paziente a stare meglio. È importante sottolineare che potrà capitare al paziente di non sentirsi sempre a proprio agio nelle sedute, a volte “la sedia potrebbe scottare” e questo sentirsi “scomodi” di fronte ad alcune interpretazioni e connessioni fatte dal terapeuta fa parte del percorso di crescita all’interno del quale si sta lavorando. Per rompere alcune “rigide visioni” nelle quali il paziente è intrappolato, sarà necessario reggere la frustrazione e correre il rischio di ascoltare nuovi punti di vista, che potrebbero risultare a volte “antipatici”, ma indispensabili.
3) “La terapia dura un paio di mesi…”
A molti pazienti capita di varcare la soglia della stanza di terapia con l’illusione di risolvere il proprio problema velocemente, e soprattutto senza impegno e fatica. Lo psicologo non è uno stregone e non ha il potere di far scomparire magicamente in un battibaleno le sofferenze di chi ha di fronte – sofferenze talvolta sedimentatesi per anni e anni –, ma mette sul piatto le sue competenze, costruendo insieme alla persona una buona relazione, un clima di fiducia, accoglienza ed empatia all’interno del quale sia possibile iniziare gradualmente a trovare nuove risposte, scoprendo risorse là dove sembravano non essercene affatto.
“Una delle più geniali scoperte che un uomo può fare, una delle sue più grandi sorprese, è scoprire che può fare ciò che aveva paura di non poter fare”.
Henry Ford